"The Huntress" Cap. II e III

                                         

                                                 Capitolo II


Kotor, Montenegro - 26 gennaio 2018

Fatica, Aspettativa, Tensione.
Gli occhi color caramello della cacciatrice scrutarono avidamente la roccia viva, alla ricerca della serratura arcana opportunamente occultata da antichi rituali. Ventinove ore senza chiudere occhio, a vagare, sola, ormai lontana dalla città di Kotor, con una pioggia battente a intessere un fastidioso sottofondo, e solo un misero indizio su ciò che stava cercando da quasi due settimane. Dalla cintura le tre lame penzolarono tintinnando tra loro, seguendo indifferenti le studiate movenze della ragazza. Quella centrale, un gladio affilato sottratto ad un trickster affrontato anni or sono in Russia, grondava liquido scarlatto, imbrattando il pantalone scuro della cacciatrice. Piccole mani poco curate, scorticate e sanguinanti in alcuni punti, scorsero imperterrite sulla pietra, graffiandosi di tanto in tanto, alla spasmodica ricerca del passaggio; il pesante zaino da viaggio gravava sulle spalle esauste, rendendo estremamente complicato ogni movimento. Tre corpi giacevano riversi poco lontano; un tempo posseduti da demoni minori, ora freddi cadaveri epurati dai loro ospiti soprannaturali. Passarono pochi attimi ancora, prima che la stanchezza prese il sopravvento.  

La cacciatrice si voltò, e si poggio al muro, scorrendo su di esso fino ritrovarsi seduta su un suolo polveroso ed umido. Sfilò con un unico movimento lo zaino dalle spalle e se lo mise davanti, iniziando a frugare alla ricerca di una razione di cibo sintetico in scatola: orrendo di sapore come poche cose al mondo, ma contenente tutti i nutrienti necessari a sostenerla per molto tempo. Al pari di altri strumenti contenuti nello zaino, e armi nascoste che portava sotto i vestiti, lo aveva progettato e realizzato personalmente: aveva scoperto infatti che la sua vasta conoscenza della chimica, della fisica e delle scienze in generale serviva ottimamente il suo lavoro. Trasse da una tasca interna del bagaglio una scatoletta rossa ed uno strumento dalla forma rettangolare ricavato da uno strano minerale iridescente. Diamond usò lo strumento a mo' di cucchiaio, portando alla bocca brandelli di quella disgustosa poltiglia violacea. La pioggia batteva inclemente su di lei, che si trovava in un punto non riparato dalle alte formazioni rocciose. Fiumiciattoli fangosi scorrevano poco distanti, passando accanto ai cadaveri dei demoni, mutando quindi in rivi vermigli. Il leoncino di peluche la osservava sorridente dallo zaino aperto. La cacciatrice sorrise alla volta dell'animaletto, che riusciva sempre a donarle un ricordo lieto, di quando il soprannaturale non era entrato nella sua vita.

Dopo aver trovato una rientranza nella parete rocciosa a qualche metro da terra, la cacciatrice vi ci si rannicchiò, coprendosi con una copertina nera recante la sua effige - un teschio bianco dal ghigno provocatorio - e portò alle orecchie, scostando i lunghi capelli castano chiari, le cuffie del lettore mp3. Ascoltando la canzone preferita dal suo lui, "Hallelujah" di Jeff Buckley, chiuse gli occhi, e si assopì.

Quando aprì gli occhi, Diamond si riscoprì legata ai polsi da catene arrugginite che le mordevano la carne e la tenevano bloccata al muro; voltando appena il capo, notò essere un freddo pilastro di metallo scuro. Abbassando lo sguardo scoprì che il dolore lancinante che proveniva dalla gamba sinistra era dovuto ad un dardo in essa conficcato, il quale, ad ogni tipo di movimento, inviava scariche di dolore acuto. La gamba destra era invece l'unico arto lasciato libero. Si guardò intorno, e prese nota del fatto che, a semicerchio intorno a lei, si estendeva un'oscurità innaturale, delimitata da una nebbiolina nerastra, mentre subito davanti a lei una candela quasi del tutto consumata era installata su un sottile bastone di legno confitto al suolo. Sentiva un gran numero di sguardi puntati su di lei, ma i duri addestramenti a cui si era sottoposta in passato le concessero il coraggio necessario per non cedere al terrore.

"Tre giorni" sussurrò da un punto imprecisato una voce sottile, gelida.
"Chi sei? Fatti vedere!" gridò con voce imponente la cacciatrice.
"Tre giorni trascorsero da quando posasti piede nel mio territorio che mi appartiene, nel mio reame" Sussurrò la voce, più vicina.

Come la farfalla esce dal bozzolo una volta matura, dalle tenebre emerse una figura imperiosa e torreggiante, che incuteva autorevolezza al sol guardarla; al posto degli occhi recava due profondi  abissi, un cranio privo di capelli, appariva alto e muscoloso, con parole in una lingua ormai dimenticata da tutti impresse a fuoco sul torace e sulla testa. Man mano che avanzava, due paia di lunghe ali nere, fatte dello stesso materiale dell'oscurità da cui proveniva, sbucavano fuori da essa, trascinando dietro di loro la nebbiolina nerastra.

"Tre giorni ho desiderato la tua carne. Ne avvertivo il sapore, la consistenza. Non potei più aspettare: dovevo averti, subito!". Il loquire della creatura era calmo e monotono.
"Vediamo" rispose la cacciatrice pensierosa "Direi… otto."
La creatura si arrestò incuriosita da quelle parole prive di senso. Denudò quattro file di denti aguzzi in un sorriso innaturalmente spaventoso. Chiunque sarebbe crollato a quella vista; non la cacciatrice, non Diamond.
"Otto?" Chiese divertita la creatura, che mostrava segni di impazienza.  
"Otto minuti. E' il tempo che ti concedo per liberarmi e scappare." La cacciatrice era serissima, lo sguardo puntato sul suo carceriere, evitando accuratamente di non battere le ciglia per non perdere il minimo movimento.

La risata del mostro invase l'aria tutt'attorno ai due. Rise cinicamente per almeno due minuti, mentre gli artigli delle zampe superiori battevano contro i suoi quadricipiti, a voler enfatizzare la reazione. Se l'intento era quello di spaventare la ragazza, aveva fallito miseramente.

"Nessuno ha mai insultato a tal punto Inuus, re degli Incubi. La tua morte sarà lenta e colma di sofferenze!" ruggì la creatura delle tenebre schiumando rabbia causata dalla quasi indifferenza della fanciulla: "Mi divertirò col tuo corpo e poi strapperò la tua pelle, banchetterò con i tuoi organi, uno ad uno, ricaverò una collana dal tuo cuore!"

Vomitate altre parole colme di odio, Inuus si riversò sulla ragazza, allargando entrambi i gomiti, puntandoli verso l'esterno, con le mani artigliate protese verso di lei. Calò il silenzio, quando il mostro si fermò a mezzo metro da lei, in piedi e curvo in avanti. La guardò con occhi tremanti, corrucciando la fronte. Abbassando lo sguardo vide un'arma ricavata da un osso fuoriuscire dalla punta dello stivale destro della cacciatrice per conficcarsi a fondo nel suo addome. Rialzò il capo, per notare in un secondo momento il sorriso beffardo di Diamond.

"Sono mortificata, Inuus, re degli incubi" scandì lentamente la ragazza.
"Non ho tenuto fede alla mia parola: sono passati solo sei minuti."
L'incubo ruggì, ma prima che potesse riversare su di lei la sua collera, la ragazza aveva già cominciato a salmodiare le parole in enochiano necessarie ad attivare il potere nascosto della lama d'osso: estirpare dal mondo la creatura malvagia da essa ferita. Al termine della formula, l'oscurità attorno a lei si dissolse, e le catene, il pilastro, la candela, e Inuus sparirono per sempre.

Aprì nuovamente gli occhi, e questa volta si ritrovò nella sporgenza in cui si era rintanata per ripararsi dalla pioggia. Sentiva l'adrenalina nel proprio corpo, si sentiva riposata e fremente allo stesso tempo. Senza aspettare oltre, scivolò lungo la parete per ritornare sul fondo della vallata. La pioggia era cessata da chissà quanto, e un sole luminoso e caldo gettava i suoi raggi nelle insenature non coperte dalla roccia. Dopo aver annotato nel proprio diario di caccia l'uccisione dell'ennesimo incubo (la sua calma di poco prima derivava dall'esperienza con altri quattro di essi), si rimise a cercare. Sulla parete opposta, a pochi metri di distanza, Diamond notò finalmente due piccoli fori nella roccia, al di sopra di una runa angelica che chiunque avrebbe scambiato per il disegno di un vandalo. Raccolse lo zaino e lo indossò, quindi si precipitò verso la serratura arcana. Estrasse dalla tasca del cappotto una chiave con due estremità parallele tra loro, cilindriche, e la infilò eccitatissima nei buchi nella roccia. Trasse quindi un foglio dalla stessa tasca e recitò alcune parole nella stessa lingua adoperata per epurare Inuus. Giusto il tempo di un battito di ciglia, e lo scenario tutt'attorno alla cacciatrice mutò nuovamente.

Questa volta si trovava in una stanza chiusa, illuminata dalla flebile luce della creatura che le si parava d'innanzi, seduta dietro un imponente scrivania antica. Ai lati della scrivania, due alte pile di tomi arrivavano quasi fin sotto l'angusto soffitto, affrescato con una rappresentazione del paradiso. Le pareti della stanza erano fatte di scaffali, stipati di libri, pergamene, papiri e varie altre forme di scrittura accumulate nel corso delle ere. L'angelo le sorrise, indicandole con un gesto misurato della mano una delle due sedie vuote davanti la scrivania. La cacciatrice sedette, un sorriso dipinto sul volto, speranzosa, eccitata.
"Nelkhael, angelo del signore…" sussurro estasiata la ragazza, rapita dalla visione che le si parava davanti. "Siete proprio voi?" Rispetto nelle sue parole. Ammirazione.
L'angelo annuì, sorridendole. A differenza delle altre creature celestiali che aveva incontrato fino a quel momento, Nelkhael non "indossava" un tramite, ma le si parava d'innanzi con il corpo donatogli dal signore; la pelle ricoperta di una tenue luce eterea, tre paia di ali piumate fungevano da mantello, e chiudevano dietro le bianche vesti, anch'esse luminose. Occhi e capelli bianchissimi, come il cuore dell'inverno.
"Lord Nelkhael, angelo della conoscenza" sussurrò Diamond "vi ho cercato a lungo. Ho bisogno del vostro aiuto."


Prima che la cacciatrice continuasse, l'angelo aveva già preso un tomo dalla pila di libri di destra, e aveva cominciato, lentamente, a sfogliarne le pagine. Lo posò sulla scrivania aperto circa a metà e lo spinse verso la cacciatrice con estrema cura. Diamond lesse due righe, e la gioia non poteva più essere contenuta in un solo sorriso, in una sola espressione facciale. Prese a saltellare, quasi fosse ancora una bambina. Lo aveva finalmente trovato.


 
                                          

                                                      Capitolo III                              


                                        
Prigione Dimensionale - 27 gennaio 2018
Diamond placò a fatica l'eccitazione. Alzò lo sguardo verso la figura eterea, luminosa, che le sedeva di fronte; l'angelo ricambiava il suo sguardo con l'espressione serena di chi riesce a vedere lontano, di chi conosce.  

"Dunque, lord Nelkhael, esistono davvero uomini così compassionevoli e buoni da essere scelti per diventare angeli?" domandò, a voce forse un po' troppo alta, la ragazza. Il leoncino di peluche osservava la scena con il solito sorriso impresso sulla faccina pelosa, facendo capolino dalla borsa da viaggio deposta distrattamente sull'altra sedia. Passarono alcuni istanti, che alla cacciatrice parvero interminabili, prima che l'angelo, per la prima volta, le parlasse. Non muoveva le labbra, il suono giungeva direttamente nella mente della ragazza, quasi come fosse uno dei suoi stessi pensieri, al punto che inizialmente si chiese se non l'avesse immaginato. Capì subito che si trattava del modo di comunicare degli angeli nella loro forma primordiale, più pura.

"Definir raro tale evento è quantomeno riduttivo, Layla Richards" esordì.
"Nondimeno non impossibile."
Gli occhi color ambra della ragazzi si inumidirono, e presto lacrime leggerissime di gioia si fecero strada verso le guance rotonde, allargate in un sorriso a labbra strette. Giusto un battito di palpebre, e le sembrò di ripercorrere un ricordo lontano.

Aveva sempre ritenuto Derek un uomo di estremo altruismo e generosità, dal grande spirito di abnegazione. Si conobbero tra i banchi dell'università, e non fu esattamente amore a prima vista. Lei una ragazza bassina ed atletica, capelli castano chiari portati a caschetto, intelligenza vivace unita ad una simpatica ironia; lui un ragazzone alto dai capelli ed occhi neri, non esattamente un amante del fitness ma per uno che non fa alcun tipo di attività fisica si portava bene. Se ne stava sempre da solo, seguiva le lezione e tornava a casa, mentre la sera quasi sempre si dedicava ad attività di volontariato, spesso negli ospedali. Non aveva molti amici, Derek; la grande timidezza d'animo lo faceva apparire introverso e un po' goffo, difficilmente attirava l'attenzione della gente. Derek è tra quelli che incrociano la tua strada senza che nemmeno te ne accorga.
Layla era esattamente l'opposto; aveva numerosi amici e tutti trovavano molto piacevole passare del tempo con lei. Portava sempre abiti maschili, di rado metteva in risalto la sua bellezza e la sua femminilità. Nonostante studiasse molto per mantenere la media alta, riusciva comunque a trovare il tempo per andare a correre la mattina, e frequentare la palestra e le lezioni di Krav Maga - un sistema di combattimento ravvicinato ed autodifesa di origine israeliana. Nella sua vita ha sempre studiato le arti marziali, accostandole a discipline come lo yoga che aiutassero ad avere pieno controllo del proprio corpo. A parte questo era una ragazza come le altre, semplice, diligente, sognatrice.  

La prima volta che vide Derek, stare da solo a prendere appunti, pensò che fosse carino, ma non il suo tipo: in realtà non sapeva nemmeno lei come desiderasse il suo ragazzo ideale, semplicemente le varie attività che svolgeva non le lasciavano abbastanza tempo per rifletterci. Derek era uno dei tanti con un aspetto carino ma che non destavano particolarmente il suo interesse.

Qualche giorno dopo quell'incontro, la sorellina di Layla, Lana, perse i sensi mentre era a scuola, e venne portata d'urgenza all'ospedale; Layla vegliò la sorella giorno e notte, facendole compagnia in quella fredda stanza grigiognola. Ogni tanto si allontanava per prendere qualche dolcetto per la sorella da un distributore automatico alla fine del corridoio: in quegli attimi, quando Lana non poteva vederla, sfogava forti crisi di pianto. Il terzo giorno, mentre attraversava il corridoio al ritorno dal distributore, con un muffin alla nocciola tra le mani, vide attraverso una porta un ragazzo dai capelli scuri, seduto al centro di una stanza, giocare con quattro bambini ad un gioco di società. Le risate gioiose dei piccoli fecero sorridere per un attimo anche Layla, che nel frattempo asciugava le lacrime; era davvero possibile portare una tale serenità nei cuori di chi soffre con una tale naturalezza? Non riconobbe il ragazzo, che le dava le spalle: appena questi si voltò, lei corse via, chiedendosi dopo il perché fosse fuggita imbarazzata. Lana, una volta vista la sorella maggiore varcare la porta, le chiese come mai fosse arrossita - forse per la prima volta.

Passarono i giorni, e i medici scoprirono in Lana una particolare forma di leucemia; Layla e la sua famiglia furono distrutti nello scoprirlo. Layla iniziò a passare meno tempo con la sorellina, per non farle vedere le lacrime di disperazione che incessanti inumidivano le sue guance. I genitori si rivolsero ai migliori esperti, e quando il destino della piccola sembrava inevitabile, uno specialista, il dottor Goldman, suggerì di fare un tentativo con il trapianto di midollo. Layla si propose subito come donatrice, ma in seguito alle analisi di rito si scoprì che non era compatibile, mentre i genitori avevano superato l'età limite.

Intanto che la famiglia Richards si muoveva alla ricerca di un donatore, allontanandosi anche dall'ospedale, Derek fece la sua conoscenza con Lana: entrò nella sua stanza con il naso rosso da pagliaccio ed un camice pieno di trucchi magici - semplici ma magnifici agli occhi di un bambino. Le fece compagnia per due pomeriggi in attesa che la sua famiglia ritornasse da lei. Lana adorava Derek, era l'unico oltre la sorella che entrava in quella stanza sorridendo e la faceva giocare e divertire, distraendola dalle brutte cose che le stavano succedendo, e a cui non sapeva dare una spiegazione. Una sera che i Richards erano lontani dall'ospedale, le condizioni della piccola si aggravarono; il dottor Goldman decise di eseguire d'urgenza il trapianto, non appena si fosse trovato un donatore compatibile.

Layla entrò di corsa nella hall dell'ospedale e l'attraversò rapidissima evitando a stento di cozzare contro le persone sulla sua strada. Salì le scale a gruppi di tre, trafilata, corse nel corridoio del secondo piano e spalancando la porta della stanza di Lana, rimase paralizzata dallo stupore: la sorellina era seduta sul letto a giocare a carte col ragazzo dagli occhi color notte senza stelle. Non seppe mai dire se fosse stata un'allucinazione o chissà quale fenomeno strano, ma le sembrò per un attimo che Derek avesse un lungo paio di ali bianche, piumate, che si estendevano dalle sue spalle. Il ragazzo lasciò la stanza all'arrivo di Layla, la quale, poco dopo, scoprì da un'infermiera che era stato proprio lui a donare il midollo. Non aveva mai creduto ai miracolo, o agli angeli, eppure in quel momento nella sua mente si disegnò un'apertura per il soprannaturale. La sorella era viva, sana, felice; l'incubo era passato.

Una settimana dopo Derek era ancora all'ospedale, a fare compagnia a due anziane signore, una a letto e l'altra su una sedia a rotelle. Riusciva a far ridere anche loro, con poche parole mai volgari. Una delle due gli indicò la porta con un grande sorriso, e quando si voltò la visione che gli si parò davanti gli mozzò il fiato: Layla, per la prima volta vestita con un abito blu, lungo fino alle ginocchia e tacchi alti, e giusto un velo di trucco ad esaltarne la sofisticata bellezza. Le pazienti lo rimproverarono: "che ci fai ancora qui con noi? Vai da lei!".

La cacciatrice riaprì gli occhi, come a destarsi da un sogno in pieno giorno. Si trovava al cospetto dell'angelo Nelkhael, che aveva innescato in lei quel ricordo per saggiarne la risoluzione.

"Nessuna parola da me proferita potrebbe tangere la tua risoluzione" comunicò telepaticamente l'angelo.
"Eppure non puoi compiere questa impresa da sola. Hai bisogno di aiuto. Io, come ti è dato vedere" le mostrò la catena che bloccava il suo piede sinistro alla scrivania "punito per la mia disubbidienza devo scontare altri millenni in questo luogo, e non posso accompagnarti. Mi sono preso la libertà di chiedere, dopo averle donato vita nuova, a questa singolare creatura di vegliare su di te."



Layla si voltò, e sull'altra sedia una ragazza bellissima dalla pelle scura le sedeva accanto; aveva lunghi capelli mossi, biondi, che sembrava quasi formassero una criniera leonina. La mutaforma le sorrideva divertita, osservandone lo stupore. Sul suo grembo aveva la borsa da viaggio della cacciatrice, dalla quale mancava il peluche onnipresente. Layla stupita comprese, e ringraziò l'angelo per tutto quello che aveva fatto per lei, donandogli tre pesanti tomi che si era portata dietro come offerta per il suo aiuto - offerta che l'angelo gradì immensamente.








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