"The Huntress" Cap. VI e VII

                                           


                                                      Capitolo VI



                                             

 In treno per Norwich, 16 febbraio 2018 
Diamond è sempre stata fuori dall'ordinario: era in grado di uccidere tre demoni armata solo col suo pugnale; poteva correre veloce quasi quanto un vampiro e centrare un piccolo bersaglio lontano con un coltello da lancio in movimento; possedeva avanzatissime conoscenze di chimica, fisica e tutte le scienze naturali; era stata addestrata nel combattimento ravvicinato secondo diversi stili di lotta, disarmata, con armi canoniche e con armi improvvisate; aveva speso un intero anno in dodici monasteri tibetani per apprendere antiche arti esoteriche per affrontare al meglio le creature della notte. Cacciava qualsiasi tipo di mostruosità sovrannaturale con una naturalezza che forse i suoi colleghi non avrebbero raggiunto in anni e anni di allenamento.
Tuttavia, Diamond non sapeva guidare.
"Il maestro Daniel Sergei vive a Norwich da alcuni mesi: lavora come istruttore di Krav Maga in una palestra locale, anche se, in realtà, si occupa di formare i cacciatori meno esperti. Dai documenti in mio possesso pare sia stato l'ultimo cacciatore ad aver provato ad eliminare Abigor, ma per qualche motivo di cui non sono a conoscenza sembra vi abbia rinunciato. Abigor è stato avvistato l'ultima volta nel cuore di Londra: se sei proprio sicura di voler intraprendere questa caccia, hai bisogno di Daniel."
Le parole del maestro Garret riecheggiavano nella mente di Diamond, mentre, poggiata al finestrino del treno, osservava distrattamente il paesaggio scorrere via, rapido. Il rumore della pioggia battente, insieme al ritmato suono del treno sulle rotaie, risultavano stranamente piacevoli all'udito. Due ore di viaggio alle spalle, altre quattro da fare. La cacciatrice era da sola nello scompartimento; accanto a lei un cumulo di borse sue e di Furaha, la quale era uscita per andare a prendere al vagone ristorante qualcosa da mettere sotto i denti. La giovane mutaforma non riusciva ad esprimere appieno il suo amore per i treni: adorava in particolar modo fare la conoscenza di persone che per puro caso le si sedevano accanto. Da quando ha ricevuto il respiro di vita, Furaha ha sempre cercato di apprendere quanto più possibile riguardo il mondo le persone, ed il suo carattere spontaneo e genuino le consentivano di farsi istantaneamente voler bene da chiunque.
Diamond era seduta composta al suo sedile: per non addormentarsi iniziò a leggere la biografia di Edward Kelley, allo scopo di individuare qualche informazione utile per la sua caccia sul creatore dell'unico mezzo di comunicazione tra uomini e angeli. I minuti si susseguirono lentamente, noiosamente. Layla si accorse di quanto la sua nuova amica era riuscita, in così poco tempo, a riempire le sue giornate al punto tale che una breve assenza della mutaforma risultava in un momento di lungo silenzio. D'un tratto la porta dello scompartimento si aprì, e Furaha fece il suo ingresso con un vassoio pieno di dolciumi assortiti; si mise a sedere al posto di fronte a quello di Diamond, in maniera poco composta, poggiò il vassoio sulle gambe e prese a mangiare con grande voracità. Normalmente, la goffaggine spontanea di Furaha avrebbe divertito la cacciatrice, tuttavia il volto della ragazza pareva freddo e distaccato.
"Allora, Furaha: hai incontrato qualcuno di interessante prima?" Alzò gli occhi color ambra su di lei, il tono quasi inquisitorio.La mutaforma, le labbra sporche di cioccolato alle nocciole, scosse vigorosamente la testa: "No, sono andata dritta dritta al ristorante, ero tanto affamata.""Bé, ce ne hai messo di tempo…" aggiunse Layla, quasi parlando tra se."Uff, Diamond! Smettila di starmi addosso." sbuffò la ragazza dalla pelle color ebano.
Furaha aprì di nuovo bocca per lamentarsi della compagna, ma la voce le si strozzò in gola: Diamond era piombata su di lei, premendola con il braccio sinistro contro la parete dello scompartimento e puntandole il fidato pugnale alla gola. Gli occhi della cacciatrice erano confitti in quelli di Furaha che ricambiava stupefatta il suo sguardo di ghiaccio.
"Primo, Furaha non sta mai via da me per troppo tempo. Secondo, non mi chiama mai Diamond. Mai" Elencò con calma la cacciatrice. Il suo istinto affilatissimo aveva di nuovo fatto centro "Potrei continuare questo elenco all'infinito. Dove si trova la mia amica?""E tu credi davvero che te lo dirò tanto facilmente?" Ghignò la creatura."No, non lo farai." Aggiunse Diamond. Un unico movimento rapido dell'avambraccio, la gola del mutaforma che aveva acquisito le sembianze di Furaha prese a grondare copiosamente sangue, finchè questi non morì pochi attimi dopo. Diamond spalancò con un calcio le porte dello scompartimento e, provando una grande rabbia, imboccò il corridoietto che portava al vagone ristorante.
"Non avverto più la presenza di Jayce"Il demone aveva posseduto un uomo dal bell'aspetto, con abiti eleganti neri. Sedeva a gambe incrociate su una gabbia metallica estremamente angusta, di quelle che usano per trasportare gli animali esotici agli zoo di città.  Nella gabbia una piccola leonessa dormiva; sulla zampa destra dell'animale si poteva notare ancora la puntura della siringa col tranquillante somministratole. Un altro mutaforma, che in questo momento aveva le sembianze di un uomo alto ed emaciato, stava in piedi di fronte al demone, camminando nervosamente avanti e indietro nel vagone-bagagli, in cui montagne di valige circondavano i due."Quella è la cacciatrice diamantina, lo sai, vero? A quest'ora avrà già smascherato Jayce.""Stai calmo, idiota" la voce roca del demone tradiva il fastidio che provava nel trattare con mostri di così bassa levatura. Manodopera a basso costo, come amava definirla. "Va tutto secondo i piani.""Tutto secondo i piani? Jayce sta morendo, cazzo!" gridò il mutaforma.Il demone ghignò soddisfatto. Era vero, tutto procedeva secondo i suoi piani; anche quando un il suo sgherro mostruoso venne pugnalato più volte alle spalle dalla cacciatrice in un assalto tempestivo, la creatura delle tenebre non si scompose, né fu sorpreso.
"Abigor." Tuonò Diamond. Gli occhi color ambra studiarono per lunghi attimi il suo avversario. Alzò il pugnale stretto nella mano destra e la bottiglina d'acqua santa nella sinistra, pronta ad affrontare un rivale che non si sarebbe aspettata di trovare tanto presto.Lentamente, il demone prese a battere le mani rimanendo nella sua posizione."I miei complimenti, Diamond, - sputò fuori quel nome pronunciandolo con tono estremamente dispregiativo -  mi compiaccio. Hai gradito il mio regalino?""Lascia subito andare Furaha." Una piccola goccia di sudore cadde dalla fronte della cacciatrice su una guancia rotonda. Rispetto alle altre volte, le fu leggermente più difficile controllare il suo respiro - Abigor lo aveva notato, e il ghigno sul suo volto parve allargarsi."Questa volta la lascerò andare. Il tizio che hai appena ucciso - come diavolo si chiamava? - ha le chiavi della gabbia nel taschino della camicia.""Perché stai facendo questo, demone?"Abigor prese una leggera pausa. Si alzò dalla gabbia e diede le spalle a Diamond, muovendo alcuni passi nella direzione opposta."Perché? Per dimostrarti quanto mi è facile distruggere quello che ami. Vienimi a cercare, se proprio vuoi, a tuo rischio e pericolo."
Diamond osservò il demone sparire in una coltre di nebbia sporca. Si inginocchiò a prendere le chiavi della gabbia e rapidamente si guardò intorno mentre liberava l'amica. Questa non sarebbe stata una comune caccia, e, a dire il vero, la cacciatrice provò una certa eccitazione. Ma erano vere le parole di Garret:
"Hai bisogno di Daniel"





                                   Capitolo VII






                                                                                                                          Norwich, 17 febbraio 2014
Tre del mattino: la splendida città inglese dormiva serenamente, in una fredda notte senza luna. Daniel era uscito a bere con tre allievi, cosa che faceva unicamente quando un suo discepolo aveva guadagnato il rango di cacciatore neofita. Agli occhi di uno sconosciuto, Daniel appariva come una persona comune, il cui aspetto fisico non sarebbe risaltato in una qualsiasi folla. Quella notte portava addosso una felpa grigio scuro, col cappuccio tirato sulla testa, un pantalone bianco lungo fino alle caviglie - in realtà parte della sua uniforme da allenamento - ed un paio di scarpe da ginnastica molto malandate. Il cappuccio copriva gran parte del volto, lasciando scoperto solo un mento sottile, adornato da una barba incolta, e lunghi capelli neri, lisci, che arrivavano alle clavicole. Chi non lo conosceva, incrociandolo per strada, lo avrebbe o ignorato o, come accadeva nella maggior parte dei casi, evitato. Non era un uomo che curava particolarmente il proprio aspetto fisico o la propria immagine. Daniel, come Diamond ebbe modo di apprendere a suo tempo, era pura e semplice essenza.
"Maestro, rimanete ancora un po': un'ultima bevuta con i vostri allievi prediletti."
"Allievi prediletti?" Rispose Daniel con simulato tono di scherno "Non avete nemmeno la metà del potere della mia allieva prediletta."
I tre risero. Sorrise anche Daniel, ma credeva davvero in quello che aveva detto.
"Da domani prenderemo diversi cammini" disse il più basso e tarchiato tra i tre neo-cacciatori. "E' forse l'ultima occasione che abbiamo per stare insieme."
"Non fatevi pregare!"
Agli occhi di Daniel, i tre ventenni erano appena dei bambini: avevano appreso da lui le basi dell'autodifesa e del combattimento con i pugnali, ma non erano certo pronti ad affrontare il soprannaturale. Osservava con attenzione i loro occhi: "non sono pronti". Continuava a ripeterselo insistentemente, mentre beveva con loro. Senza dirglielo apertamente aveva provato a convincerli a rimanere ancora, oppure a rivolgersi ad altri maestri, ma l'ardore giovanile aveva avuto la meglio. La serata trascorse rapidamente, e mentre i tre novizi cacciatori erano completamente ebbri, il maestro Daniel era sobrio e attento come se non avesse toccato alcol. Pagato il conto ed infilati a forza i tre in un taxi, Daniel si trovò da solo nella gelida notte invernale. Il respiro del maestro era leggerissimo, infatti, a differenza dei pochi passanti, non produceva alcuna nuvoletta di condensa: un cacciatore esperto avrebbe riconosciuto in questo piccolo particolare, una grande capacità di nascondere la propria presenza, fondamentale per quel lavoro così inusuale. Per tornare a casa, il maestro Daniel avrebbe dovuto attraversare un ampio viale alberato. Mentre era in cammino, con la testa occupata da innumerevoli pensieri, una figura gli si avvicinò rapidamente alle spalle: prima che questa potesse accostarsi a più di5 metri da Daniel, egli si voltò di scatto, puntando i piedi a terra e incrociando le braccia.
"Hai bisogno di qualcosa?" domandò secco il maestro.
"Un po' di compagnia non farebbe male" Replicò la donna, senza batter ciglio. "Sono Misty."
Di fronte a Daniel Sergei si trovava un'avvenente ragazza dai lunghi capelli rossi, più alta di lui di pochi centimetri. Addosso portava abiti di pelle nera, ed un pesante trucco faceva apparire la sua pelle bianco latte, in cui gli occhi neri come la notte sembravano dipinti con colori ad olio. La ragazza indicò un vicoletto poco distante, in cui l'insegna rossa al neon di un motel non riusciva ad illuminare appieno l'area. Daniel non se lo fece ripetere due volte, e, marciando accanto alla misteriosa ragazza, si diresse dove indicatogli. Sorrideva, un sorriso privo di gioia: la caccia ebbe inizio.
Misty condusse Daniel nel cuore del vicoletto, superando il motel. Disse qualcosa riguardo casa sua, sul fatto che si sentiva sola, arrivò addirittura ad adulare Daniel. Il maestro non aveva ascoltato una sola parola di quanto detto dalla ragazza. L'odore di sangue fresco - impercettibile per tutti, tranne che per l'uomo - e altri piccoli dettagli, apparentemente insignificanti, non erano sfuggiti all'artista marziale, il quale aveva accettato di seguire la ragazza solo per trovare i suoi compari. Non ebbe un'intuizione sbagliata; alla fine del vicolo, che - come atteso dal maestro - era un vicolo cieco, si trovavano altri tre vampiri, pronti a piombare addosso al malcapitato di turno. L'unico motivo per cui non aveva ucciso subito Misty, è perché lei non era un vampiro, ma un'asservita che aveva come unico ruolo quello di fare da esca.
"Misty, lo hai preso troppo vecchio: il suo sangue puzza" disse con voce sprezzante uno dei tre.
"Le mie scuse, sommo Arthur"
"Le tue scus…" il dire del vampiro si interruppe di colpo, quando il pugno destro dell'uomo trapassò senza alcuna difficoltà il cranio del mostro alla sua destra. Gli altri due vampiri non si erano accorti del fatto che Daniel aveva cominciato a muoversi, né tantomeno che avesse avuto la prontezza di attaccare quello più distratto fra i tre. I due rimasti mostrarono i lunghi denti sottili, acuminati, digrignati in un'espressione rabbiosa. Il cappuccio di Daniel cadde all'indietro, rivelando un paio d'occhi privi di iride, con le pupille completamente rosse. Daniel si mise in guardia, passando rapidamente il dorso della mano destra sulla felpa per ripulirsi dal sangue del vampiro.
"Capo, quello è un fottuto mezzo drago!" esclamò terrorizzato il vampiro alla sinistra.
"Merda… non abbiamo speranze, fuggiamo." Sussurrò Arthur; i due vampiri schizzarono sulle due pareti, saltando Daniel, e presero a correre alla velocità sovrannaturale propria della loro specie. Daniel si voltò di scatto e provò ad inseguirli, ma li perse dopo qualche attimo. Corse fino all'imbocco del vicolo, al termine del quale trovò una piacevole sorpresa.
Una ragazza bassina ma dalla muscolatura atletica stava in piedi alla fine del viale: il cappotto nero era sporco di sangue, così come il pugnale che brandiva in alto nella mano sinistra. Ai suoi piedi il cadavere di Arthur era stato separato dalla testa, mentre poco più lontano una leonessa leccava i propri artigli, affondati poco prima nella gola dell'altro vampiro.

"Vi trovo meravigliosamente, maestro" disse Diamond chinandosi rispettosamente. Daniel sorrise. La sua allieva prediletta aveva fatto ritorno.





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