"The Huntress" Cap. VIII e IX




Capitolo VIII




 ???, 20 febbraio 2018

"D'accordo, omuncolo grassoccio…" gracchiò il mutaforma mezzo corvo-mezzo topo. "Hai un'ultima possibilità per dirci dove hai nascosto le tue ricchezze".La tortura ebbe luogo in una sala circolare scavata nella roccia viva: al centro si trovava solo un tavolo metallico, mentre lungo tutta la parete da enormi rastrelliere di ferro penzolavano strumenti di tortura di ogni genere ed epoca: martelli, cunei, falci, trapani, armi, catene e molto altro. Il tavolo nascondeva sotto di esso una dama di ferro, strumento della cui invenzione Abigor era sempre andato fiero. L'uomo grassottello osservava disperato il corvo-topo, in lacrime. Avrebbe voluto rispondere ad ogni sua domanda per essere liberato dalla tortura, ma la lingua gli fu tagliata all'inizio dell'interrogatorio, rendendo il tutto un puro esercizio di sadismo. Il corpo - o meglio, ciò che ne restava - si contraeva continuamente per gli spasmi acuti di dolore lancinate. La sala era aperta superiormente e diversi metri più in alto, su pochi gradini adibiti a spalti riccamente decorati, una grande folla di demoni si godeva lo spettacolo su divani e poltrone preziosi. Era impressionante il lusso che circondava quei miserabili, oro e gioielli ovunque, cibo e bevande a sazietà. Posto sul gradino più alto vi era il trono d'oro di Abigor: lo schienale sproporzionatamente alto portava incise antiche rune di cui solo l'arcidemone conosceva il significato e l'utilizzo, oltre che diamanti e pietre preziose incastonate - apparentemente - a casaccio. Abigor era uso prendere possesso unicamente dei corpi di persone dal bell'aspetto, vestendoli con abiti eleganti e gioielli sfarzosi. In questo momento abitava il corpo atletico di un famoso pugile, il quale aveva stretto con lui un patto per vincere 100 incontri senza mai perdere. Quattro donne bellissime giacevano inginocchiate ai piedi del trono: anche loro avevano venduto l'anima all'arcidemone in cambio di gioielli, fama o bellezza ed ora attendevano che Abigor le convocasse per farci sesso e poi divorarne l'essenza.La forza di Abigor, detto anche "Re della Menzogna" o "l'Oscuro Male", risiedeva nelle false informazioni che aveva introdotto su se stesso nel corso della storia. I più grandi esperti di demonologia ritenevano che fosse un demone minore, così come riportato da diversi storici che in realtà avevano anch'essi venduto l'anima anzitempo. Abigor traeva il suo potere dalle menzogne, bugie che l'uomo racconta dall'alba dei tempi ai propri simili, senza conoscere le conseguenze. Lucifero lo pose al comando di un'armata che contava almeno dieci migliaia di demoni, concedendogli inoltre il potere di contrattare le anime con gli umani. La sua forza era pressoché illimitata agli occhi dei suoi pari, collocandolo tra gli arcidemoni più pericolosi e antichi. L'unico uomo a riuscire ad opporsi al re della menzogna fu un paladino della corte dell'imperatore Ludovico, figlio di Carlo Magno; costui, puro di cuore al di là di ogni tentazione, riuscì a colpire con la propria lancia il ventre del demonio, rivelandone l'oscura essenza, prima di soccombere sotto il tremendo potere dell'arcidemone. Ad oggi nessuna creatura, buona o malvagia che sia, è a conoscenza di questo segreto, proprio perché il demone è riuscito da sempre a nascondere la sua ferita, che riaffiora sull'addome di ogni corpo da lui posseduto. Oltre questa, Abigor ha un'altra grande debolezza: il collezionismo. Da che ha memoria, Abigor ha sempre accumulato grandi ricchezze e opere d'arte, gioielli, denaro, servitori: tuttavia, ciò che più bramava dal profondo dell'animo, sono i quattro artefatti alchemici: la sfera di Kelley, la pietra filosofale di Geber e la pozione della giovinezza di Merlino erano già in suo possesso. L'ultimo dei quattro, la chiave della Porta Alchemica del marchese di Pietraforte. La chiave avrebbe avuto la capacità di aprire un passaggio interdimensionale nella Porta Alchemica ed in altri passaggi nascosti in giro per il mondo, ma nessuno ha mai avuto altre informazioni a riguardo. Abigor la bramava sopra ogni altra cosa.Assorto nei suoi pensieri, il re della menzogna non si godeva come suo solito il risultato della cerca. I demoni cercatori, suoi servitori più fidati, avevano portato al suo cospetto una grande quantità di ricchezze e, oltre all'uomo che gridava di dolore nella sala della tortura, altri cinque miliardari attendevano il loro triste destino. Nulla di tutto questo sembrava interessare ad Abigor. I ripetuti fallimenti degli ultimi decenni riguardo la cerca della chiave riempivano la sua anima d'odio e rabbia."Oscuro Male, la cerca non è di vostro gradimento?" domandò Ibos, il suo più fidato luogotenente, nonché duca infernale. Se mai si potesse dire che Abigor avesse avuto un amico, quello sarebbe stato Ibos."Taci, demone" replicò Abigor con voce profonda, gutturale. "Il desiderio mi tormenta e tu lo sai bene.""Eppure siamo estremamente vicini, re della menzogna. Il cercatore Telal ha trovato una traccia."Abigor scattò in piedi, in tutta la sua oscura maestosità, sollevando il luogotenente per il collo con il solo braccio destro. Il volto una maschera di rabbia, stridendo i denti esclamò:"Perché non mi è stato detto subito? Dove si trova la Chiave?" urlò Abigor.Tutti i demoni sugli spalti si voltarono verso l'arcidemone. Anche il corvo-topo interruppe il suo lavoro, guardando con timore la scena che si consumava poco più in alto."L-la cacciatrice ed il mezzodrago" con un filo di voce Ibos rispose al suo signore. I suoi piedi non toccavano terra, e la presa sul suo collo era sempre più stretta. Abigor lo lasciò cadere al suolo non appena ebbe l'informazione che tanto bramava. Mosse pochi passi davanti al trono, quindi, ergendosi in tutta la sua altezza, spalancò le braccia rivolgendosi alla sua armata:"Miei servitori! Offro ricchezza, gloria e tutto quello che desiderate a chiunque mi porti qui il mezzo drago conosciuto come Daniel Sergei e chiunque viaggi con lui! Li voglio vivi! Andate!"Il corvo-topo si fregò le mani, divertito ed emozionato. "Finalmente, finalmente! Dopo secoli di attesa, vedremo l'oscuro male al lavoro." Si avvicinò alle rastrelliere. "E' il caso che prepari il tutto per bene: nulla dovrà essere in difetto per la somma tortura." La risata di Abigor sovrastò il forte rumore d'ali di pipistrello e delle urla d'eccitazione dei demoni. L'ultima cerca ebbe inizio.




                                   


Capitolo IX

Bosco di Hallerbos, Belgio - 23 febbraio 2018
Furaha spalancò la bocca, stupefatta: osservò dal posto di dietro della jeep la foresta di faggi di cui Daniel le aveva così tanto parlato. Ciò che colpì maggiormente la mutaforma fu il predominante viola deciso delle campanule che disegnavano un fitto tappeto nel sottobosco, conferendogli un'aria magica e misteriosa. La cacciatrice osservava divertita l'amica premere il naso contro il finestrino dell'auto, sfoggiando ancora una volta la sua innata eccitazione per lo scoprire cose nuove. Daniel guidava silenzioso, concentrato, occhi sulla strada.









Il maestro d'arti marziali dal sangue draconico aveva predetto anzitempo una reazione di Abigor: l'arcidemone, infatti, aveva inviato loro un messaggero per informarli della sua decisione di collezionare le loro teste. Che pensiero premuroso - pensò tra se Daniel. Il bosco di Hallerbos era il perfetto campo di battaglia per affrontare un gran numero di demoni, disse il maestro alla sua discepola. Daniel parcheggiò la jeep, si voltò verso le due ragazze. Le osservò per pochi attimi, passando le dita della mano destra sul mento ispido, pensieroso.



"Abigor invierà un'armata scelta di demoni minori. Potrebbero essere decine, forse centinaia."

Hunter lo osservava impassibile, dal profondo dei suoi occhi ambrati che non facevano trasparire alcuna emozione. Furaha, invece, provava paura: poggiò le mani sulle ginocchia che presero pian piano a tremare; tuttavia, ogni volta che Diamond si voltava verso di lei, le sorrideva in maniera tanto rassicurante da infondere coraggio e determinazione nel suo cuore. Daniel scese dall'auto. Portò alla bocca una sigaretta e, semplicemente espirando dal naso, la accese con una piccola lingua di fuoco. A differenza di un qualsiasi fumatore, aspirava dalla sigaretta, ma non emetteva fumo, quasi come se lo conservasse o si nutrisse di esso. Furaha scese dalla macchina per seconda, trascinando per mano Diamond verso il mare di campanule viola. Si tolse gli stivali e prese a correre a piedi nudi sul manto erboso, dimenticandosi per qualche attimo del motivo della loro presenza in un luogo del genere. Diamond si avvicinò a Daniel: distrattamente osservò le cicatrici a forma di croce che il maestro portava sul dorso di entrambe le mani. Ricordò il giorno in cui se le procurò e per un attimo rabbrividì.

"Maestro, vi chiedo scusa per il comportamento di Furaha. E' solo che…"
"Non hai nulla di che scusarti" replicò Daniel interrompendola. Trasse un altro respiro dalla sigaretta, per poi voltarsi appena verso la cacciatrice. "Ho pregato molte notti affinché trovassi un'amica come lei; un'amica fedele che riuscisse a ridonarti il sorriso."

Insieme osservarono Furaha fuggire disperata da un ragno pelosetto che le era salito sulla mano. Scoppiarono a ridere. Diamond desiderò che non fossero lì per affrontare i demoni, che fosse solo una visita di piacere - cosa che non faceva da almeno cinque anni. Trascorsero lì la sera, in attesa. Daniel si sedette ai piedi del più grande faggio e richiamò a se tutta la sua concentrazione, beandosi del silenzio e la pace che il bosco aveva da offrire. Diamond dovette rispondere alle migliaia di domande di Furaha, ma lo fece con sincero piacere. La mutaforma le chiese di tutto: dalla storia delle campanule al motivo per cui cercassero la sfera di Kelley. Tuttavia, Diamond si incupì quando, innocentemente, l'amica le chiese:

"Lally, perché Daniel odia Abigor?"
"Bé…" esordì Diamond "Il passato del maestro Dan è un mistero per molti. Da quel che so, Daniel dà la caccia ad Abigor da molti più anni di quanto tu possa immaginare. Centinaia di anni! I loro scontri sono sempre finiti in un en-passe, con i due che si ritiravano per le molte ferite subite."
Furaha osservò in lontananza il maestro seduto nella posa del loto. Il suo affinatissimo intuito le aveva suggerito che Daniel Sergei non fosse solo quell'anziano ubriacone che aveva lasciato scappare due vampiri quella notte a Norwich. La leonessa aveva notato che Diamond era davvero rassicurata da quando avevano unito le forze col maestro, e questo l'aveva profondamente colpita.

La notte calò come l'ascia del boia sulla nuca del condannato a morte.
I tre, spalla a spalla, attesero l'arrivo dell'orda demoniaca nel cuore della foresta. Il meraviglioso silenzio che permeava l'area venne interrotto dai battiti di ali da pipistrello tutt'intorno, da voci gutturali e poi scalpiccii sul selciato. Da dietro gli alberi presero a far capolino decine e decine di persone; uomini e donne, giovani ed anziani, alti, bassi, grassi, o più in forma. Tutti, però, avevano iridi e pupille nere come l'abisso più profondo. Demoni si, ma demoni minori, servitori del grande male. Sessantasei figli delle tenebre formarono un cerchio attorno ai tre, ridacchiando, ghignando, dandosi di gomito pregustando il sapore della loro carne o la ricompensa che Abigor avrebbe attribuito loro. Diamond strinse nervosamente la presa sui due pugnali consacrati, respirando a fondo e alternando lo sguardo sui vari volti carichi di odio e malignità. E se Daniel avesse torto?
Il capitano dell'orda delle tenebre, un demone alto dalla muscolatura prorompente, alzò la mano destra verso Daniel, pronto ad esercitare i suoi oscuri poteri per tenerlo bloccato - reazione tipica di un mostro vigliacco suo pari, penso Diamond. Nel momento in cui provò a ricorrere alla forza oscura, una campanula ai suoi piedi prese lentamente ad assumere un colorito nero, producendo un suono come se tintinnasse. Daniel ghignò, trionfante.

Il capitano dei demoni non ebbe il tempo di chiedersi cosa fosse andato storto; un pugnale imbevuto d'acqua santa si piantò al centro esatto del suo petto, fendendo l'aria con un sibilo. Diamond estrasse dalla giacca un altro pugnale, mentre il demone cadeva al suolo esanime. I figli delle tenebre espressero tutta la loro rabbia innalzando al cielo le loro urla. Due di loro piombarono su Diamond ma, troppo lenti per accorgersene, vennero colpiti entrambi al volto da un unico pugno di Daniel. I demoni vennero scagliati in aria dal diretto del maestro e, prima che potessero toccare suolo, svanirono urlando in un esplosione di luce bianca. Solo allora gli altri sessantatre demoni compresero. Furaha assunse la forma di leonessa, Daniel ritornò in posa da attacco, Diamond lasciò cadere al suolo la giacca, rivelando due cinturoni che si incrociavano sul suo petto, entrambi ricolmi di pugnali consacrati. I demoni provarono a scagliarli via o a bloccarli sul posto o, ancora, a possedere i loro corpi: ogni volta che tentarono di attingere alle arti oscure, una campanula si tingeva di nero. La trappola di Daniel si era rivelata un successo.

Per tutta la notte le campanule del bosco di Hallerbos tintinnarono; l'aria venne invasa dalle urla di panico e dolore dei demoni, che compresero troppo tardi di non essere i predatori di quella cerca. Privati dei loro poteri, poco o nulla potevano opporre alla dirompente forza di Furaha, che abbatteva i demoni uno dopo l'altro con i suoi possenti artigli. Poco potevano contro l'agilità di Diamond, la cui precisione nel colpire il punto esatto da lei desiderato con i pugnali non aveva eguali. E nulla potevano contro i pugni celesti di Daniel, che epuravano i demoni estirpandoli per sempre dal mondo - quasi come non fossero mai esistiti.



Al mattino Furaha si ritrovò al centro di una radura nel cuore della foresta, ansimante. Tutt'attorno a lei i corpi senza vita dei demoni, distesi in un mare di campanule nere che ancora tintinnarono. Osservò Diamond poco lontano, distesa al suolo, esausta. Le si accoccolò vicino, addormentandosi. Daniel si avvicinava ai corpi colpendoli per farli svanire nella luce sacra. Il fumo della sigaretta si perdeva nella nebbia mattutina.  






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